È risaputo in tutto il mondo che i claun sono dei sognatori e per far sognare grandi e piccini cosa di c’è di più bello delle favole?
Raccontare le fiabe ai bambini è una tradizione millenaria, che l’uomo porta avanti dalla notte dei tempi: raccontare rinforza il senso di comunità e di appartenenza. Le storie condivise permettono di trasmettere insegnamenti e valori di generazione in generazione, dando un senso speciale alla vita.
Quel che si dice in giro è che noi iniziammo ad incontrarci i primi mesi del 2015, quando una dolce fatina ci insegnò come raccontarle le favole.
“Che disastro!” Di quel periodo, si narra: poca voce, poche pause, timori, balbettii… parlare ad un pubblico?!? Oooh, che paura!!”
Non ricordiamo esattamente com’è iniziata ma ci credevamo tantissimo e con tanto entusiasmo iniziammo piano piano a provarci. E così Favoleggiatori cominciarono a raccontare le favole della buonanotte, tenendo compagnia ai bambini ricoverati e ai loro genitori.
Ci preparavamo con delle formazioni ad hoc, giocavamo, improvvisavamo, provavamo a recitare, preparavamo gag, inventavamo storie assurde e fiabe bellissime che poi avremmo portato in ospedale.
Passavamo di camera in camera invitando bambini e ragazzi a raggiungerci in sala giochi, utilizzando un filo magico e funzionava! Tutti ci seguivano divertiti in fila indiana.
La magia del naso rosso!!!
Tante erano le cose da valutare: i tipi di favole da scegliere, le modalità del racconto, gli oggetti necessari per far interagire il piccolo pubblico, la disposizione dei bambini, il luogo.
Il gruppo era affiatatissimo, con tanto entusiasmo e tante idee.
I bambini, gli adolescenti, i genitori, i nonni ed i favoleggiatori, tutti diventavano attori protagonisti, diventavano ranocchi, principi e principesse, lupi e porcellini, usavano carrozze, cavalli e trenini, tv artigianali e teli magici!
Tutto quello che era stato pianificato e definito nella formazione immancabilmente saltava, ma sorprendentemente si riusciva ad improvvisare, bastava il là di uno di noi, uno sguardo e tutto veniva orchestrato magicamente.
Il pezzo forte era la chiusura con il KAMISHIBAI, una forma di teatro di strada e narrazione giapponese, un piccolo palco magico che si apre sul mondo.
Era un momento magico:
le luci si spegnevano, restava accesa solo quella del Kamishibai,
il volume della voce si abbassava,
i respiri rallentavano,
i bambini si rilassavano sedendosi sulle piccole sedie, sdraiandosi sui tappetti e i più piccoli trovavano calma tra le braccia dei loro cari.
Era il momento di affidarsi ai Favoleggiatori, che, con delicatezza, mettevano in scena l’ultima favola, quella che incantava e augurava a tutti una buona notte…